Rifiuto

L’aspetto più interessante del decreto è il richiamo alle attività umane e ai cicli naturali come produttori di rifiuti (richiamando l’art. 2 del D.P.R n. 915/82).
Pertanto, in base all’art. 6 del D.L. 22/97, la nozione di rifiuto si combina di due elementi: l’appartenenza obiettiva di una certa sostanza ad una categoria individuate nell’Allegato A del decreto e la condotta del detentore della res, che di essa si disfi, o abbia deciso di disfarsi o abbia l’obbligo di disfarsi.
Infine, a seconda delle caratteristiche di pericolosità, i rifiuti sono distinti in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi (art. 184, D.lgs. 152/06).
Sono rifiuti urbani i rifiuti domestici, i rifiuti non pericolosi assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade, i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico, i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi e i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni. (art. 184, comma 2, D.lgs. 152/06 e s.m.i.).
Sono, invece, rifiuti speciali i rifiuti da attività agricole e agro-industriali, i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, i rifiuti da lavorazioni industriali e artigianali, i rifiuti da attività commerciali e di servizio, i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque ed, infine, i rifiuti derivanti da attività sanitarie. (art. 184, comma 3, D.lgs. 152/06 e s.m.i.).
La normativa, inoltre, distingue i rifiuti a seconda delle categorie di pericolo e/o del limite di concentrazione delle sostanze pericolose in esso contenute. In particolare, l'elenco dei rifiuti pericolosi è specificato nell'allegato D alla Parte quarta del D.lgs. 152/06 e tiene conto dell'origine, della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose. (art. 184, comma 4 e 5, D.lgs. 152/06 e s.m.i.).
Fermo restando il presupposto di voler o dover disfarsi di una determinata sostanza od oggetto, l'inclusione dello stesso nell'elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi. Con decreto del Ministero dell'ambiente potranno essere emanate specifiche linee guida per agevolare l'applicazione della classificazione dei rifiuti introdotta agli allegati D e I del D.lgs. 152/06 e s.m.i.

sabato 25 febbraio 2012

Termovalorizzatore & Pirolisi

Il termovalorizzatore è un impianto che brucia i rifiuti provenienti da un accurato
processo di raccolta differenziata. E' cioè un inceneritore che usa il calore prodotto
per generare energia.
Tuttavia, pur essendo meno inquinanti degli obsoleti inceneritori, i
termovalorizzatori non riescono ad eliminare la diossina, tossica e cancerogena,
presente nei fumi di scarico. Inoltre, studi sul particolato e sulle nanopolveri ne
mettono seriamente in dubbio la compatibilità ambientale. E proprio per i dubbi
sulla loro tossicità, i termovalorizzatori sono poco diffusi e molto osteggiati dalla
popolazione.
La pirolisi è un processo di degradazione termica in assenza di ossigeno. E' una
tecnica che, con particolari accorgimenti tecnici, l'utilizzo di uno speciale tipo di
forno (kiln), la dissociazione molecolare tra 400 e 800°C (contro i 1300 °C degli
inceneritori), può raggiungere performances ottimali, quali la totale assenza di
diossine e furani (composti tossicologicamente simili), oltre ai fumi con le polveri. È
un processo endotermico (per spezzare i legami tra gli atomi dei reagenti occorre
fornire energia) e può essere regolato, cioè abbassato o aumentato. È
particolarmente indicata proprio in presenza di materiali assai diversi fra di loro.
Può operare con a monte la raccolta differenziata, ma anche senza.
La pirolisi potrà trattare la frazione umida insieme con la frazione secca del
rifiuto, con ottimi risultati che possono toccare punte del 90% di produzione di gas e
10% di residuo inerte in discarica, contro circa il 50% dei termovalorizzatori.
 Della nuova tecnica ne ha parlato all'ANSA, Angelo Moreno, ricercatore dell'Enea:
"In questo modo si consente la minimizzazione dell'impatto ambientale, vale a dire,
un minor numero e minore uso delle discariche, che e' tra i primi obiettivi ambientali
nella gestione rifiuti in Italia. Inquinanti quali i composti dello zolfo, gli ossidi di
azoto, il monossido di carbonio diminuiscono fino alla meta' mentre quelli pesanti si
riducono del 50%. Se poi, prosegue il ricercatore dell'Enea, un tale sistema venisse
accoppiato con una tecnologia ad alta efficienza, quali le celle a combustibile ad
alta temperatura che possono sfruttare in maniera ottimale il syn-gas prodotto,
questa potrebbe rappresentare la soluzione tecnologica ottimale al problema dei
rifiuti, dal punto di vista ambientale, energetico, sociale ed economico''

mercoledì 14 dicembre 2011

AEE & RAEE

Apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) e rifiuti delle stesse (RAEE) 

Per AEE si intendono le apparecchiature elettriche ed elettroniche, disciplinate dal D.lgs. 151/2005, cioè di tutte quelle apparecchiature che dipendono, per un corretto funzionamento, da correnti elettriche o da campi elettromagnetici, le apparecchiature di generazione, di trasferimento e di misura di questi campi e correnti, appartenenti alle 10 categorie sottoindicate e progettate per essere usate con una tensione non superiore a 1000 volt per la corrente alternata e a 1500 volt per la corrente continua, purchè non siano parti di tipi di apparecchiature non disciplinate dal decreto in esame.


( La guida della Commissione europea “Frequently asked questions on Directive 2002/95/EC ….. and Directive 2002/96/EC on Waste Electrical and Electronic Equipment (WEEE)” ha precisato che con il termine “dipendono” si intende che l’apparecchio ha necessità di elettricità per assolvere la propria funzione primaria)

Le AEE che rientrano nel campo di applicazione di questo decreto sono le seguenti (allegato 1A del D.lgs. 151/2005):

1. Grandi elettrodomestici
2. Piccoli elettrodomestici
3. Apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni
4. Apparecchiature di consumo
5. Apparecchiature di illuminazione
6. Strumenti elettrici ed elettronici (ad eccezione degli utensili industriali fissi di grandi dimensioni)
7. Giocattoli e apparecchiature per lo sport e per il tempo libero
8. Dispositivi medici (ad eccezione di tutti i prodotti impiantati e infettati)
9. Strumenti di monitoraggio e di controllo
10. Distributori automatici


Sono parimenti escluse dalla disciplina in esame le apparecchiature connesse alla tutela di interessi essenziali della sicurezza nazionale, le armi, le munizioni ed il materiale bellico purchè destinati a fini specificamente militari e tutte quelle apparecchiature che non ricadono sulle 10 sopra elencate.

I RAEE possono inoltre essere di 2 tipi, a seconda dell'origine: RAEE domestici, generati dai nuclei famigliari e i RAEE professionali, prodotti dalle aziende e dalle attività amministrative ed economiche.

Ogni anno in Italia si producono almeno 1,6 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici (RAEE).

sabato 10 dicembre 2011

AMIANTO

In greco la parola Amianto significa immacolato e incorruttibile e Asbesto, che di fatto è equiparato ad amianto, significa perpetuo e inestinguibile.
L'amianto, chiamato perciò anche indifferentemente asbesto, è un minerale naturale a struttura microcristallina e di aspetto fibroso appartenente alla classe chimica dei silicati e alle serie mineralogiche del serpentino e degli anfiboli.
L'amianto o asbesto è un minerale (un silicato) con struttura fibrosa utilizzato fin da tempi remoti per le sue particolari caratteristiche di resistenza al fuoco e al calore. È presente naturalmente in molte parti del globo terrestre e si ottiene facilmente dalla roccia madre dopo macinazione e arricchimento. È composto da due grandi famiglie: il serpentino (il principale componente è il crisotilo o amianto bianco) e gli anfiboli (i più noti sono l'amosite o amianto grigio e la crocidolite o amianto blu).
Il cemento-amianto detto anche fibrocemento o, dal nome del più diffuso prodotto commerciale "Eternit ®" è un materiale compatto realizzato con una miscela di cemento e fibre di amianto, costituito prevalentemente da crisotilo, ma anche da crocidolite ed amosite complessivamente in quantità pari a circa il 15% in peso. Il materiale ha un'elevata resistenza alla corrosione, alla temperatura e all’usura
La presenza di manufatti in cemento-amianto non costituisce di per sé rischio per la salute dei cittadini e/o per la tutela ambientale, in quanto il rischio dipende dalla probabilità di una dispersione di fibre di amianto in aria e/o nel suolo. La probabilità della cessione di fibre è a sua volta connessa alla perdita di compattezza del manufatto in cemento amianto che si realizza per una lunga esposizione (alcuni decenni) agli agenti atmosferici e/o per danneggiamento ad opera dell’uomo. Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso è improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre. E' quindi importante verificare che il manufatto sia in buone condizioni per escludere i rischi derivanti dalla dispersione di fibre.
La normativa in vigore dal 1992 (Legge 27 marzo 1992, n. 257 "Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto"), vieta la vendita di materiali in cemento amianto per cui dal medesimo periodo si assume che questo non sia più stato impiegato nelle costruzioni. Ne consegue che un edificio di età inferiore ai 16-18 anni (al 2010) quasi sicuramente è privo di amianto. Ciò nonostante manca la certezza assoluta in quanto fino al 2004 materiali in cemento amianto acquistati prima del 1992 potevano comunque essere utilizzati dai relativi proprietari.
Già dalla fine degli anni 80 in commercio si trovavano dei materiali alla vista identici al cemento amianto ma che sono liberi da amianto. Utilizzati soprattutto come lastre per coperture, questi materiali riportano un marchio con apposita scritta che certifica l’assenza di amianto (es. asbestos free). Si tratta di lastre ondulate, costituite prevalentemente da cemento compresso che contiene in genere fibre organiche naturali e spesso fibre sintetiche in polivinilalcool come rinforzante, che possono essere comunemente acquistate presso i rivenditori di materiali edili.
Spesso non è possibile verificare a distanza  la differenza di questi materiali con il cemento amianto in quanto in entrambe la matrice cementizia (oltre 80%) impedisce la distinzione. Una visione ravvicinata invece consente di constatare che non vi sono fibre di amiantifere.
La Storia:
1908: Prime segnalazioni di fibrosi   polmonare interstiziale in esposti ad   amianto;
1927: decrizione completa e formale definizione di “asbestosi”;
1933: indagine su lavoratori inglesi e primo tentativo di regolamentare i rischi;
1935: prima descrizione di un caso di carcinoma polmonare in esposti ad amianto
1939-40: (Vigliani) alla Confederazione Fascista degli Industriali viene effettuata la proposta del limite di 200 fibre/litro (limite identico all’attuale massimo tollerabile ai sensi del D.Lgs. n. 277/91);
1943: inserimento dell’asbestosi nell’elenco italiano delle malattie con obbligo di assicurazione contro le malattie professionali;
1947: evidenziato il nesso eziopatogenetico amianto-mesotelioma
1960: innumerevoli studi epidemiologici sulla associazione fra asbestosi, carcinoma polmonare e mesoteliomi;

1991: recepimento della Direttiva Europea in materia di esposizione professionale ad amianto (D.Lgs. N. 277);

1992: emanazione di norme per la cessazione dell’impiego dell’amianto (Legge n. 257);
1986: Ordinanza del Ministero della Sanità 26/06/86

  Recepimento della direttiva europea 83/478 che limita l’immissione nel mercato e l’uso della crocidolite.
1988: D.P.R. 215/88 Primo decreto che vieta l’immissione nel mercato e l’uso di tutti i tipi di amianto nei giocattoli, articoli per fumatori, pitture e vernici. La stessa norma vieta l’applicazione a spruzzo dell’amianto e definisce le disposizioni (tuttora vigenti) per l’etichettatura dei prodotti contenenti amianto.
1992: Legge 257/92   “Norme relative alla cessazione dell’amianto” .  La legge che mette al bando definitivamente l’amianto in Italia.

 Lavori di demolizione e di rimozione dell’amianto
il
piano di lavoro
  Art. 34 D.Lgs. N. 277/91
deve prevedere:
 
a) La rimozione dell’amianto ovvero dei materiali contenenti amianto prima dell’applicazione  delle tecniche di demolizione, se opportuno; 
b) La fornitura ai lavoratori di appositi D.P.I.; 
c) Adeguate misure per la protezione e la decontaminazione del personale incaricato ai lavori; 
d) Adeguate misure per la protezione dei terzi e per la raccolta e lo smaltimento dei materiali; 
e) L’adozione di adeguate misure in caso di superamento dei valori limite di esposizione
Piano di Lavoro:
Copia del piano di lavoro va inviata all’Organo di Vigilanza (AUSL 6 Palermo, S.Pre.S.A.L.), unitamente ad informazioni circa:

a) Natura dei lavori e loro durata presumibile;

b) Luogo ove i lavori verranno effettuati;

c) Tecniche lavorative;

d) Natura dell’amianto;

e) Caratteristiche degli impianti;

f) Materiali previsti per le operazioni di coibentazione;
g) Idoneità specifiche alla mansione dei lavoratori rilasciate dal medico competente.
Se l’Organo di Vigilanza non rilascia prescrizioni entro novanta giorni dall’invio della documentazione, i datori di lavoro possono eseguire i lavori, ferma restando la loro responsabilità oggettiva.
OGGI QUESTO DECRETO LEGISLATIVO E’ STATO INTEGRATO E SOSTITUITO DAL DECRETO LEGISLATIVO N. 257/2006 e DAL D.M. N. 155 DEL 12/07/2007 (regolamento attuativo dell’art. 70 del D.Lgs. N. 626/04.